Scrivo molto. E molto a mano.
Il mio diario in cui riporto sogni importanti, esperienze di viaggi, citazioni di libri; gli appunti durante seminari, corsi e conferenze; le sedute dei miei pazienti.
Non scrivo in modo molto ordinato, a volte cancello qualcosa tirandoci una riga sopra, altre volte lascio delle frasi a metà, altre ancora utilizzo frecce e asterischi perché mi viene da aggiungere qualcosa all’ultimo momento.
Spesso mi è capitato di invidiare chi ha una bella grafia, chi riesce da subito ad essere chiaro e coerente, chi sa costruire schemi precisi, chi ha il dono della sintesi.
Così ho sempre preferito iniziare dalla “brutta”, senza pensare alla forma, buttando giù sulla pagina le cose che mi arrivano, in modo spontaneo e non ragionato. Intanto so che, in un secondo momento, ricopierò tutto “in bella” (a parte il diario) come si faceva a scuola con i temi, dove c’era un foglio per la brutta e un foglio per la bella. Prima si componeva il tema come una sorta di bozza con tanto di cancellature e ripensamenti e poi si riscriveva in bella grafia su un foglio protocollo, pulito e ordinato.
Oggi gli appunti e la registrazione delle sedute dei miei pazienti aumentano sempre di più e io mi sento eternamente in arretrato.
Così un giorno, all’improvviso, mi sono resa conto che stavo continuando a coltivare un ideale di me, un’asticella non raggiungibile che mi faceva sentire sempre indietro, mai a posto. Mi dicevo che sarei stata soddisfatta solo quando fossi riuscita a ricopiare tutto in bella.
Quel giorno ho deciso di cambiare quest’abitudine, ho sentito che era venuto il momento di scendere dal mio ideale, di far calare l’asticella e accettare di accontentarmi di qualcosa di imperfetto.
La prima cosa che ho notato è che le spalle si sono abbassate e ho espirato profondamente, ho lasciato andare. Poi mi sono accorta che, in realtà, la mia grafia è leggibile e gli appunti sono completi e chiari; inoltre ciò che annoto lo leggo soltanto io (a parte i post che pubblico che sono scritti al computer), quindi cancellature, frecce e asterischi non sono ostacoli alla mia comprensione.
Ma soprattutto ho percepito che si è liberata una grossa fetta di tempo e con essa un’ingente quantità di energia, prima sequestrata dall’ideale di me; l’impressione è stata quella di mettere i piedi a terra e sentirli proprio bene radicati nella realtà.
Coltivando un’immagine ideale di sé si rischia di rimanere perennemente insoddisfatti e di perdersi le piccole cose imperfette che rendono la vita interessante e significativa.