“La Storia Infinita” di Michael Ende è un libro che amo molto e il film lo conosco quasi a memoria.
Una potente forza misteriosa, il Nulla, sta inghiottendo e cancellando il regno di Fantàsia e l’Infanta Imperatrice decide di affidare al giovane e coraggioso Atreiu il compito di salvare il regno.
La scena che mi ha sempre toccato di più è quella delle Paludi della Tristezza in cui Artax, il cavallo bianco di Atreiu, muore inghiottito dalle sabbie mobili, perché si lascia andare alla disperazione.

“(Parla Artax)…
A ogni passo che facciamo la tristezza cresce nel mio cuore.
Non ho più alcuna speranza, padrone.
Credo proprio di non farcela più.
Lasciami padrone, vai avanti da solo, non preoccuparti per me!
Non posso più sopportare questa tristezza.
Voglio morire. Non puoi più aiutarmi, per me è finita”

 

“Da due giorni Atreiu aveva lasciato dietro di sé le Paludi della Tristezza e da allora vagava senza meta per un immenso deserto di pietre, in cui non c’era ombra di vita.
Si era perduto.
Non era più in grado di stabilire neppure in che direzione camminava.
Se si fosse trattato soltanto di lui, della sua persona, molto probabilmente a questo punto si sarebbe cercato una grotta nella roccia e vi si sarebbe rincantucciato per aspettarvi la morte, come facevano in simili casi i cacciatori della terra da cui lui proveniva.
Ma il suo compito era un altro.
Lui era alla Grande Ricerca, ne andava della vita dell’Infanta Imperatrice e della salvezza di tutta Fantàsia”

“La Storia Infinita” M. Ende

 

Quante volte cadiamo? Quante volte ci ritroviamo nelle Paludi della Tristezza perché abbiamo perso qualcosa o qualcuno? O perché abbiamo fallito? O perché qualcosa è andato storto?

La tristezza è un’emozione, è una caratteristica intrinseca all’essere umano, a volte può perdurare a lungo perché connessa ad una perdita importante, altre volte è come una nuvola che si ferma per un momento sopra la testa e poi passa, basta un piccolo alito di vento e ritorna il sereno. Se la guardiamo da questa prospettiva, possiamo lasciarci attraversare dalla tristezza e magari anche assaporarne i dolci correlati, come la commozione e la nostalgia. Quando la lasciamo scorrere, non perdiamo la fiducia, appena la nuvola è passata siamo di nuovo pronti a tuffarci nella vita.
Ma nella depressione ciò non avviene, tutto è grigio, tutto è piatto, niente ha sapore. Si piange, ci si può sentire tristi, ma più sovente assistiamo ad un’assenza di emozioni, un’indifferenza, un disinteresse verso ogni cosa. Nulla fa brillare gli occhi e il cuore.

Atreiu impersona la tristezza, Artax rappresenta la depressione.

L’Analisi Bioenergetica considera la depressione come una stagnazione energetica: l’energia che normalmente circola nel corpo ed è disponibile per la vita, cessa il suo movimento spontaneo, è come l’acqua ferma di uno stagno, energia sequestrata non più a disposizione. L’intervento migliore risulta essere quello di lavorare per ripristinare il contatto col corpo e rimettere in movimento l’energia. Alexander Lowen consigliava un esercizio in cui, da distesi su un materasso, si battono le gambe tese in modo alternato, egli diceva “Se dessimo ogni giorno duecento calci al materasso non potremmo diventare depressi”.
Riconnettendosi al corpo si può uscire dall’appiattimento emotivo e ci si può ritrovare. Riappropriandosi della propria energia si può recuperare la spinta che viene da dentro e fa di nuovo sentire il desiderio di vivere.